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Ad majora, signor “Adok”!

Anche nello spietato mondo del marketing avvengono i miracoli. Il più clamoroso è quando il nome di un prodotto si trasforma in sinonimo di categoria. È così che bic, rimmel, scotch, borotalco, hag, scottex, jeep e barbie – giusto per citare i più noti – hanno varcato la soglia dell’immortalità. Come ogni miracolo degno di questo nome, “diventare sinonimo” non è un esito pianificabile. Il dato di realtà (e il buon senso) ci ricorda che partendo da una base di migliaia di “nuove idee” si contano sulle dita di una mano quelle che superate tutte le avversità conquistano lo status di progetto di successo.

Problem solver

Eppure, tutti i “progetti di successo” hanno un tratto in comune: la capacità di risolvere problemi quotidiani in modo nuovo (se non addirittura innovativo). Nel mondo dell’arredo contemporaneo uno dei problemi che potremmo definire “classici” per la ricorrente puntualità con il quale si presentano, è la conquista del punto d’equilibrio tra prezzo e personalizzazione, precisione industriale e “su misura” artigianale, aspettative del cliente e risultato finale. Insomma, l’eterna riproposizione del dilemma che va sotto il nome di “botte piena e moglie ubriaca”.

Zero compromessi

Non sappiamo se il progetto Adok diverrà “nome comune di prodotto”. Non appartenendo al mondo del largo e larghissimo uso è quantomeno improbabile. Quello di cui abbiamo invece ragionevole contezza è il percorso che questo brand suggerisce. Per quanto ambizioso e di non semplice soluzione, Adok si è posto l’obiettivo di coniugare il risultato estetico e la sostenibilità economica, l’accessibilità alla personalizzazione, il rigore produttivo alla flessibilità compositiva. Un sistema componibile che, finalmente, non costringe ad accettare la moltitudine di compromessi che il triste mercato dei “vorrei ma non posso” impone all’insegna del design così detto “democratico”. Un progetto onesto questo “signor Adok”. Non solo offre soluzione a problemi ricorrenti e comuni, ma suggerisce anche soluzioni realistiche ad un problema noto quanto difficilmente risolvibile: trovare un punto d’equilibrio tra qualità e costi, logiche produttive e personalizzazione. Che poi a ben vedere è lo stesso problema che affligge la comunicazione contemporanea.